La nostra storia

LE ORIGINI

Lungo il filo della storia. Testo di Emanuela Renzetti

La speranza di migliorare la propria condizione sociale, la consapevolezza di non avere a portata di mano soluzioni e il desiderio di imprimere alla propria vita un nuovo corso, sono state in passato, quanto lo sono oggi, ragioni forti per decidere partenze, per spingere uomini su strade dirette a mete sconosciute, per lasciare case e affetti che mai sarebbero stati abbandonati se non per muovere “in cerca di fortuna”. Comincia così, come tante altre storie di migrazione, la vicenda di Primiazzo Zanon, tessèr della Val di Fiemme. 
trasparente1.pngSmonta il suo telaio, lo carica, forse non proprio in spalla -come vorrebbe la tradizione di famiglia a significare che se lo tira dietro come unico bene- ma piuttosto su un carretto, e s’incammina tra fitti boschi per valicare il versante dei monti. La Valle del Cismòn, dove si fermerà, non è lontana, non avrebbe senso spostarsi di così poco se questa non fosse, per certi aspetti, un’altra terra. A metà Settecento, epoca  dei fatti, il tessitore che viene da una zona (Tesero) in cui l’arte che pratica è affermata, si sposta in Primiero, attratto, forse, dalla facilità delle comunicazioni e dei commerci con Feltre e Bassano o, forse, dalla speranza di minor concorrenza e più clienti. Qualsiasi idea si sia fatto, non sbaglia, si ferma a Mezzano, mette su casa, bottega e famiglia e dà avvio a una stirpe di tessitori che, ancora oggi, è identificata dal suo nome troncato “Miazzo”. Scoraggiato per la scarsità  del lavoro che riesce a procurarsi nel luogo natale, cui resterà legato per sempre dal cognome che porta, esasperato per il poco panno e la poca tela che produce, Primiazzo parte. Suo figlio Gian Maria, suo nipote Giuseppe, il pronipote, detto Giotto, ma ancora Gian Maria (1826-1894), continuano esclusivamente a tessere e si tramandano il mestiere fino a metà Ottocento senza mai distogliersene, né per un campo, né per un animale. Poi viene Giorgio e con lui le cose cambiano. E’ un ragazzetto molto sveglio e, per questo, frequenta la scuola in canonica e ha come insegnante il curato. Tra i dieci e gli undici anni (era nato nel 1864), mentre in un giorno di primavera aiuta le donne di Mezzano impegnate a sbiancare il filo, tenendo vivo il fuoco sotto le varie caldaie per fare la liscivia, lungo la strada che porta a Fiera, viene notato da un compositore di musica sacra, Giuseppe Terrabugio (1842-1943). L’attenzione del maestro è attratta dalle mani di Giorgio che, in un momento di pausa, si trastulla strimpellando su un sasso una tastiera immaginaria.
trasparente2.pngGli chiede cosa stia facendo e il ragazzetto prima risponde in merito al lavoro e poi, quando il compositore insiste per sapere cosa faccia sul sasso, dice di imitare il “Teo” che suona e che lui va sempre a vedere. L’invito del maestro perché il ragazzo prenda lezioni da lui è immediato, ma immediata è anche la dichiarazione di povertà di Giorgio che  denuncia l’impossibilità della sua famiglia di pagare.  Il disinteresse dell’insegnante, l’entusiasmo dell’allievo, il consenso del tessèr Giotto Miazzo, perché il figlio vada a Fiera, avranno importanti ripercussioni sulla storia di famiglia. Infatti, la casa abitata dal maestro di musica, presso cui Giorgio diventerà un provetto organista, sul retro, guarda la piazza in cui i Trotter hanno da poco eretto un capannone per fare scuola di tessitura. Imprenditori, oltre che tessitori, i Trotter, hanno  accompagnato in Boemia, tra gli anni quaranta e cinquanta dell’Ottocento, con competenza e manodopera locale Luigi Negrelli, anch’egli originario di Fiera di Primiero (1799-1858). Nel corso della progettazione e realizzazione di strade e ponti, uno di loro, è riuscito ad apprendere un particolare tipo di tessitura, di cui ha riportato segreti e disegni. Deciso a incentivare l’economia del proprio paese, costui allestisce un laboratorio e, producendo, cerca di trasmettere i primi rudimenti dell’arte a qualche giovane richiamato da un proclama che invita possibili garzoni. Giorgio è curioso e non fa nessuna fatica a imparare perché, come dicono i tessitori, è cresciuto sotto il telaio di suo padre, così, conquista la fiducia di Gigio Mao Trotter, che sceglie di insegnare solamente a lui, tra i sette o otto garzoni che istruisce, quel particolare tipo di tessitura, quella dei copriletto. Che Mao Trotter avesse già cominciato  a produrre opere grandi  (che nel linguaggio dei tessitori designano tessuti lavorati con diciotto e ventiquattro pedali) è provato  dal pezzo di un vecchio copriletto giunto in eredità in casa di  Giorgio. Costui resta a lungo con i suoi maestri, di musica e di tessitura, ma a venti anni si fa costruire da un falegname “fino”, Sori  (Isidoro) Corona, il suo primo telaio in noce, bello, tutto intagliato, e comincia a lavorare in proprio. In poco tempo, dopo essere diventato abile nelle opere piccole  (tovagliato) si fa il nome di Giorgio de’ soraléti e può permettersi di sposarsi giovane, ma rimane presto vedovo e si risposa. La sua seconda moglie, perché tutto il sapere del marito non venga distrutto, salverà i licci, le cárcole e lacassa del telaio, nascondendoli sotto il letto, quando i tedeschi, nella ritirata del 1918, lo bruceranno. Privo della strumento che gli garantisce la sopravvivenza, il tessér chiede un secondo telaio, questa volta fatto alla svelta, a un altro falegname Bepi de’ Pizzoli (Giuseppe Bettega) e riprende infaticabile il suo tovagliato e i suoi copriletto. trasparente3.pngLavorando inventa nuovi disegni, ha i quaderni dei tacaménti datigli da Gigio Mao, ma ne crea di nuovi per ogni donna che, portandogli il filato, chiede un tessuto esclusivo, che nessun’ altra abbia. Giorgio cambia anche l’abbinamento dei colori, ne introduce di diversi e le sue opere sono così richieste che due signore piuttosto ricche, una di Siror, l’altra di Mezzano, gli forniscono regolarmente lino e lana per fare copriletto che acquistano e rivendono. Tesse tre copriletto al mese, questa è la sua media; guadagna sei lire al braccio, un braccio della sua tessitura è di ottanta centimetri, quello delle altre tessitrici è di settantotto; tesse un braccio al giorno,  lavorando tre ore la mattina e quattro il pomeriggio; poi ha spazio per i suoi passatempi, suonare, scrivere musica, insegnare nel coro, disegnare; ha la casa sempre piena di preti, di maestri, di amici, ma nessuno gli chiede di imparare il suo segreto. Sua moglie fa la bidella e guadagna centoventi lire al mese, lui con dieci braccia a copriletto ne guadagna centottanta, vivono bene,  meglio di altri che soldi non ne hanno e che Giorgio aiuta, almeno per pagare le tasse. In più, ha gli introiti delle messe suonate e mille passi di campo che per legato vanno all’organista della parrocchia. Il tessér, lascia che la sua sposa ne coltivi una piccola parte e dà in affitto il resto, non in cambio di denaro ma di prodotti, insomma se la passa bene, solo, nessuno impara la sua arte. La figlia Lina ha appena nove anni e mamma Orsola insiste perché le insegni musica, Giorgio, invece, decide che è giunto il momento di farla tessere, di lasciarle il segreto. Forse si sente vicino alla fine e per questo vuole ad ogni costo che la bimba fissi in mente la trama, che non dimentichi, così le racconta di aver preparato un disegno per lei, che quella sarà la sua opera. Lina, anche lei, è cresciuta sotto il telaio, sa già molte cose, sa fissare i disegni sui pedali legando le cárcole, e ha già aiutato il papà a ordire, perché è normale, il tessitore in certi lavori ha bisogno di qualcuno. trasparente4.pngCosì, per la prima volta, sotto lo sguardo attento del padre ordisce due teli di copriletto, tre braccia per telo (due metri e quaranta circa, la lunghezza del copriletto), carica il telaio con l’aiuto della madre, come se il babbo non ci fosse, ma lui le suggerisce ancora come incorsàr e infine le insegna il disegno sopra. E Lina tesse, in piedi, perché non ha forza per spingere i pedali e per tirare la cassa, ma tesse, fa andare le navicelle, conta concentrata, senza sbagliare mai, come vuole il maestro, tesse il suo indimenticabile copriletto bianco e rosso, con le cimose perfette, con il disegno giusto, strade…, mandole…,rose…. Giorgio muore nel 1930 ma il suo segreto no, è consegnato, tramandato alla bambina di dieci anni che è ormai una vera Miazza, una tessèra.


NUOVE GENERAZIONI

Dal copriletto... In poi.

Lo stipendio della mamma c’è sempre, per fortuna, ma la vita cambia radicalmente; i soldi sono pochi adesso, e non c’è più la terra, non ci sono le messe, né la gente che viene in casa, la camera granda però è come la ha lasciata il papà, con il telaio, la stufa a ole, l’armonium e una spinetta, non si può abbandonarli a tarli e polvere. Lina, intraprendente quanto il padre, comincia a insegnare alla madre a tessere, non è necessario che impari a tramare soraléti, per questo c’è lei, ma è indispensabile che conosca tutte le altre azioni da compiere; mai suo marito, gelosissimo del telaio e del lavoro, l’aveva fatta sedere e le aveva insegnato qualcosa. La figlia le spiega, si fa aiutare in tutto ciò che ha imparato, tranne quando intreccia la trama segreta, poi le consegna le navicelle e la fa tessere. Ora ??? e Lina devono anche fare mille lavori in campagna per poter vivere, ma la madre sa che la figlia crescerà presto e diventerà tessèra, intanto, le fa studiare musica e vuole che suoni sempre, almeno un’ora al giorno, come vuole che curi le sue mani perché tornino bianche e lisce, dopo i lavori all’aria aperta, le lascia l’acqua dove hanno bollito le patate perché le lavi e le sbianchi con quella.  Lina diventa tessitrice di professione, non come le altre donne che tessono per le esigenze di famiglia cose non importanti, non preziose;  così, un po’ di benessere torna in casa, le donne che vengono a chiedere un copriletto portano il filo ma pagano e portano anche viveri che loro non hanno. Come lavorava suo padre continua lei, ma lentamente qualcosa cambia. Intanto, dalle fabbriche austriache arriva sempre più cotone e il numero dieci, che è adattissimo, sostituisce l’ordito di lino, questo semplifica le cose perché il lino, filato a mano, non ha la fibra abbastanza resistente, quindi va trattato. Bisogna col scoàt  (un bruschino) spargere la bozzima, una specie di colla fatta di crusca e grasso scarto bolliti assieme, sui fili dell’ordito tenendoli sotto con la mano e bisogna procedere un metro alla volta.
trasparente6.pngOggi viene apprettato ma un tempo c’era solo quel sistema e quando verrà la guerra e mancherà nuovamente il cotone, Lina riprenderà le abitudini di un tempo; la casa riacquista allora quell’odore speciale un po’ acre, ma riacquista anche quell’andirivieni di gente di amici e di giovanotti che ora vengono con la scusa di due chiacchiere e di un coro, per vedere la bella tessèra. Nonostante la guerra madre e figlia non patiscono la fame: uova, lardo, farina, salsicce e formaggio arrivano a saldare metà del lavoro, l’altra metà sono soldi. Lina come ogni tessitore che si rispetti ha la sua specialità, i copriletto però, non sono più identici a quelli di suo padre; oltre all’ordito di cotone, hanno le novità dei colori. Non più bianchi e neri, come in origine, quando la lana si adoperava al naturale, sono diventati man mano, con la tintura, neri e rossi, come anche a Giorgio piacevano e poi bianchi e rossi, gialli e marroni, gialli e bordeaux, bianchi e verdi e persino bianchi e azzurri. Lina ne tesse tanti, anche dopo il suo matrimonio con Corrado e guadagna, adesso, più del triplo di quel che guadagnava suo padre, duecento lire a braccio. Tesse anche dopo la nascita dei primi due figli, ma ad un certo punto, un po’ perché le nascono altri due bambini, un po’ perché le donne non filano più, un po’ perché cominciano ad andare tanto di moda le fibre sintetiche, intorno agli anni Sessanta, abbandona la tessitura, smonta il telaio di suo padre e lo ripone in soffitta. Ogni tanto ripete ai suoi ragazzi che deve insegnare loro a tessere, che suo padre le diceva sempre di tramandare il segreto, di non lasciarlo morire, ma il tempo passa e nessuno si decide a imparare.trasparente7.png

Poi Lucia, che è sposata e ha già una figlia, e suo fratello Angelo cominciano a chiedere del telaio. Sono passati ormai venti anni da quando Lina ha smesso, ma il mondo sta cambiando di nuovo, cominciano a piacere un’altra volta le cose fatte a mano, si cercano tessuti tradizionali, l’artigianato torna a prender piede. Lucia e Angelo insistono, sono determinati, vogliono provare, hanno sempre sentito parlare del telaio del nonno, per la verità Lucia c’è anche cresciuta sotto, Angelo è troppo giovane e non ricorda la mamma che tesseva ma, nonostante ciò, è attratto, vuole provare anche lui.  Alla fine, il telaio riappare dalla soffitta, si rimonta dopo averlo accorciato, perché la camera granda, nella casa di oggi non c’è e bisogna adattarsi agli spazi ridotti, e Lina ricomincia, recuperando dal proprio passato gesti, sapere, l’andar delle mani e dei piedi, disegni e segreto. Solo che, dal passato, non tornano i filati che servono al grosso e robusto telaio costruito nel 1918, così Lucia e Angelo cominciano a girare il Veneto in cerca di ciò di cui hanno bisogno, fili ritorti e robusti. Cercando e scoprendo si costruiscono una competenza nuova, sono curiosi non solo di imparare ciò che la madre insegna loro, ma anche di sperimentare nuove soluzioni.  Fanno campioni, inventano, pasticciano e guastano, si tessono gilet, accontentano amici desiderosi di avere un capo fuori dal comune, una tenda particolare, una tovaglia che sa d’antico, un asciugamano raffinato. Lina è felice, tornando “nel telaio” come dice, quasi fosse una casa nella casa, è tornata ad  essere padrona di sé, mentre i figli provano e riprovano, tessono cose che non ha mai tessuto, lei ha ripreso la sua tradizione, si è iscritta agli artigiani e lavora: fa tovagliato e naturalmente copriletto, ma ormai già con lane leggerissime o con sete.
nonna_Lina.pngA sessant’anni, però, la vecchia tessèra, come la chiamano oggi che ne ha più di ottanta i figli, si rompe un femore cadendo da una seggiola ed è questo il momento in cui passa a Lucia la titolarità del laboratorio. Lucia unisce ormai alla curiosità della sperimentatrice, la sicura competenza che le viene dalla tradizione. Il lavoro che è ripreso in grande, i telai adesso sono tre, due in laboratorio e uno in casa, avrebbe bisogno di più tessitori, ma Angelo, dopo aver imparato, si concentra sui disegni; lui sembra l’erede diretto della creatività artistica del nonno, ma ha un’altra attività e non può dedicarsi a tempo pieno alla tessitura, così é sua moglie che comincia, quasi timidamente. Teresita  non ha alcuna esperienza di tessitura ma divide con il marito una sensibilità particolare per i colori, per gli abbinamenti, per i disegni. Quando si siede le prime volte al telaio per seguire le indicazioni di Lucia, si sente una specie di usurpatrice, indegna del posto della suocera, ma Lina non può che gioire nel vedere come la sua famiglia stia riprendendo l’arte di cui è sempre vissuta. Il compiacimento cresce man mano che i nipoti crescono, perché, sembra impossibile, ma tutti hanno ereditato la stessa capacità, la stessa passione. La figlia di Lucia ad esempio, Carmen, appena sposata, parte per l’Australia e poco dopo essersi trasferita, chiede un telaio, anche lei c’è cresciuta sotto. La madre la raggiunge e glielo fa costruire là e Carmen comincia a tessere, con lane pregiate, colori diversi, costruendosi un’esperienza su differenti filati e altre sensibilità; diventa sarta, ma sarta che lavora solo tessuti di telaio artigianale. Quando con il marito decide di ritornare in Italia e di stabilirsi in Primiero, la prima cosa che con grande attenzione fa mettere nel container è il suo telaio.

trasparente8.pngPian piano Lucia e Angelo contagiano con la loro passione tutti. Lucia trasmette e insegna a figli e nipoti suoi e dei fratelli; secondo lei è impossibile non imparare stando in famiglia, perché c’è sempre bisogno di qualcosa e certi lavori si possono fare solo in due, così fin da piccoli si apprende. Mantiene gelosamente il segreto del nonno, il cui tessuto damascato riappare ad esempio in originali borse a tracolla, ma lo piega alle nuove esigenze di capi preziosi e unici; ora, a quel segreto se ne sono aggiunti altri, quelli che l’esperienza le ha fatto scoprire e quelli che la creatività sedimenta nei disegni esclusivi dei tessuti lavorati con le spole. La ricchezza delle diverse esperienze e delle differenti inclinazioni personali che Lucia ha trattenuto e che ormai sono entrate a far parte del patrimonio familiare rende sempre nuova, anche se l’ottava generazione è già al telaio, la tessitura dei Trotter; già, infatti il caso ha voluto che la tessèra Miazza si unisse in matrimonio con Corrado Trotter, riportando così i suoi figli nella scia di quel cognome cui si attribuisce il trasferimento dalla Boemia al Primiero dei tacaménti dei soraléti. Il caso, si sa, ogni tanto ama intrecciare i fili delle storie e riuscirci con due famiglie di tessitori deve essere stata un’avventura.